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sabato 30 gennaio 2010

Le stagnanti acque della contemporaneità


Basta guardarsi intorno per capire che tutto ciò che ci circonda è qualcosa di già sentito, di già dipinto, di già letto, in pratica una propagandata originalità che si fonda su copie.
Pensando alla contemporaneità e alle migliorie in senso artistico, sono tre le domande che solitamente mi pongo:
- Come mai non nascono più geni o persone in grado di rivoluzionare stili e forme ormai obsolete di fare cultura?
- Quanto, nell’arte contemporanea è importante l’estro e la fantasia di un artista, ora che la tecnologia domina anche questo campo?
- Nelle mani di chi è stata affidata, dalle istituzioni, la conservazione della memoria storica e dei beni culturali del nostro paese?.
Certamente non è mia intenzione sottolineare tutti gli aspetti insidiosi che queste tre domande presentano, pur credendo fermamente nella gravità dei problemi che comportano, ma soffermarmi, soprattutto, sul filo conduttore che unisce questi argomenti: la mancanza di “Originalità”.
Questo termine riferito alla storia dell’arte, va interpretato come il superamento della conoscenza e del rispetto dell’antico o come la capacità di reinventare i canoni interpretativi della trasposizione dei sentimenti e delle qualità umane.
Ripercorrendo gli ultimi cinquant’anni di storia mondiale, ci si accorge che personaggi come Benedetto Croce, Dante, Rimbaud, Renoir e Picasso, non sono più rinati in nessun uomo del nostro secolo, ma sono stati sostituiti da cantanti di musica molto leggera, da calciatori incolti e da veline catatoniche, che di culturale hanno ben poco.
Questo specchio della società contemporanea è dipeso dal fatto che i ragazzi, spesso invogliati da molti genitori, vedono in questi idoli, solitamente, vuoti di contenuti culturali, un riferimento per il proprio futuro. E se le nuove generazioni rappresentano da sempre la speranza di un futuro migliore, i segnali in tal senso sono molto decadenti, dal momento che l’originalità ha subito un calo vertiginoso che è riscontrabile nella vita quotidiana e artistica.
Allo stesso modo analizzando quel che propone l’arte contemporanea, ci si accorge come nel mondo e soprattutto in Italia, siamo invasi da mostre-spazzatura o interattive come: l’arte digitale a Tokyo ( le opere sono rappresentate su display elettronici) di Tatsuya Oka e quella torinese di Piero Gilardi o come la mostra” Davaj!Russian Art Now” di Yelena Kovylina,( “Davaj” si può tradurre con un “Muoviti” ). La mostra è una accozzaglia di oggetti, cari ai paesi dell’est e privi di ogni filo logico.
L’arte contemporanea nelle sue molte rappresentazioni è un’assillante estensione di rimasugli delle innovazioni proposte dalla Pop-Art alla fine del 900, che ha prodotto un collage di idee prive di ogni forma di originalità. L’unico segno di innovazione, sta nell’invadenza della tecnologia più avanzata che porta ad una totale presenza della macchina sul pathos dell’uomo, una cosa a mio avviso del tutto negativa per la nascita di nuovi stili e di rivoluzioni culturali e artistiche.
La storia dell’arte ci insegna che già in antichità Raffaello imitava Leonardo e in anni più recenti Carrà imitava Masaccio (un pittore primitivo) e se ne potrebbero citare molti altri , questi esempi sono utili per capire che l’imitazione dell’antico per giungere al suo superamento è una pratica in uso da secoli, e continuerà ad esistere solo se il nostro patrimonio culturale avrà la giusta tutela e conserverà la propria memoria storica. In questo scenario va inserito il problema della privatizzazione delle opere e del patrimonio artistico Italiano, fatto che nelle paludi della contemporaneità , annega anche l’ultima speranza di innovazione. Se questo sistema economico verrà adottato, non ci sarà più la possibilità di fruire liberamente della cultura tramandataci , a tutto vantaggio delle classi sociali più ricche che potranno strumentalizzare opere che rappresentano la nostra gloriosa storia artistica e la conoscenza sarà solo retaggio di pochi. Questa è solo una delle ipotesi migliore poiché c’è anche la possibilità di perdere i pezzi più pregiati del nostro patrimonio artistico, infatti se il Colosseo, fosse ornato da pubblicità come uno stadio e identificato con simboli pacchiani di multinazionali, perderebbe la sua stessa ragione di esistere, che da secoli sta nel gioco segnato dal trionfo o dalla morte per divertire, con la nobile arte della lotta
Senza dubbio chi governa ha molte responsabilità e soprattutto quella di affidare la gestione del nostro patrimonio artistico, invidiatoci da tutto il mondo, a persone incapaci.
Anche su questo ultimo punto la mancanza di originalità sta nel voler utilizzare una vecchia manovra economica come la privatizzazione. Vero è che negli anni 80, portò i suoi frutti, ma anche molti problemi ancora irrisolti, uno fra tutti la mancanza di un’identità nazionale (nella perdita di grandi firme e marchi), figuriamoci cosa potrebbe accadere con la perdita dei Beni che raccontano la storia di un paese come l’Italia
L’unica originalità sta nella scelta di inetti ministri dei Beni Culturali.
Capire l’importanza di dire o scrivere: il “nostro” patrimonio culturale, sta nel termine “nostro” , perché ci identifica ,ci unisce e ci aiuta a capire ciò che oggi siamo divenuti e conserva un messaggio visivo, che deve guidare le decisioni progettuali future e restare dominante. Immaginativi quanta confusione avranno le generazioni future nell’osservare il non più “loro” patrimonio culturale, comprato da qualche magnate estero.
Spero di non dover assistere a questa deviata filosofia del guadagno che conduce alla distruzione di idiomi, icone e memorie nazionali.

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