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giovedì 4 febbraio 2010

L’enigmatico De Chirico

La storia dell’arte è piena di geni o di artisti che in un certo senso hanno dato un contributo originale per lo sviluppo della pittura contemporanea ed uno di questi è senza dubbio il fondatore della scuola metafisica Giorgio De Chirico.
Nasce a Vòlos in Grecia nel 1888 e muore a Roma nel 1978, studiò arte ad Atene e a Monaco dove apprese la pittura romantica e decadente di Arnold Bocklin e di Max Klinger. Nel 1911 fu a Parigi: nella capitale francese frequentò Paul Valèry e Guillaume Apollinare, ma non si associò alle avanguardie artistiche che a loro facevano riferimento.
A Monaco di Baviera lontano da ogni influenza dell’Impressionismo e del Postimpressionismo, aveva guardato con partecipe ammirazione alla pittura scenografica e simbolista - tra tardo romanticismo naturalistico di spiriti nordici e mitologie "mediterranee" di un classicismo tutto letterario.
Era appassionato anche nella lettura dell’Ecce Homo di Nietzsche dove è evocata l’intensa suggestione delle città italiane nella luce silente dei pomeriggi autunnali, e da “Sulle cose supreme” di Otto Weininger dove si proponeva una “metafisica come simbolistica universale”.
Si spiegano così i suoi primi quadri come: L’enigma di una sera di autunno del 1910; L’enigma dell’ora e Nostalgia dell’infinito del 1911 e la serie delle Piazze d’Italia eseguite per lo più a Parigi nel ricordo dei lunghi portici ombrosi e delle architetture uniformi e semplificate che avevano colpito il pittore durante i suoi soggiorni dal 1909 al 1911 a Milano, a Firenze e soprattutto a Torino.
Sono dipinti, che possono essere già considerati “metafisici” per quel senso di mistero, di arcana meraviglia che promana da quelle prospettive esasperate, da quella spazialità ora impervia, ora geometricamente bloccata tra quinte e fondali, ora dilatata al limite invalicabile di un cielo verde cupo: uno spazio rarefatto entro cui anche la parvenza e gli eventi della vita quotidiana acquistano la carica simbolica, inquietante ed elusiva delle immagini oniriche. Quadri che sono esaltati da una luce astratta che proietta lunghe ombre in diagonale, nettamente scandite.
Dal 1915 al 1919 Giorgio De Chirico fu a Ferrara, che per la particolare configurazione architettonico - urbanistica trova per il mondo "metafisico" dell’artista il suo luogo ideale.
A Ferrara, De Chirico conobbe il pittore futurista Carlo Carrà, con cui iniziò il percorso che lo portò a definire i canoni della pittura metafisica: a partire dal 1920 tali teorizzazioni furono divulgate dalle pagine della rivista “Pittura metafisica”.
I quadri di questo periodo sono: Interno metafisico con grande officina del 1916; Pomeriggio soave del 1916; Arnesi per lo scolaro e I pesci sacri del 1917; opere che rappresentano oggetti rari o usuali avulsi dal ragionevole contesto della loro pratica destinazione e intellettualisticamente riuniti in accostamenti inediti, sorprendenti, capaci di suggerire una loro riposta capacità di "significare".
Ma è anche il periodo di quadri come: Ettore e Andromaca, Le muse inquietanti, Il grande metafisico, in cui compare alla ribalta il teatro metafisico di De Chirico, animato dai celebri manichini, meccanici ma vitali aggregati di gessi archeologici, di squadre di righe, di pezzi ortopedici e di supporti per sartoria. Sono questi i personaggi, gli eroi delle ironiche mitografie dechirichiane; fantasmi appena riconoscibili di un mondo remoto, irrimediabilmente perduto e insieme prefigurazione di quella umanità disumana di cui parlava il fratello di De Chirico, Alberto Savinio: "Tale sarà l’uomo di ferro nella sua esistenza muta che gli mancherà il dolore, la passione, la fede" ( dall’Uomo senza volto di Alberto Savinio).
L’esperienza metafisica di De Chirico poté costituire un’anticipazione, o comunque uno stimolo nei confronti del movimento surrealista. Poeti e pittori surrealisti riconosceranno nell’artista italiano uno dei padri e precursori del Surrealismo; ed è innegabile l’influenza esercitate dalle sue opere su pittori come: Ernst , Dalì, Tanguy, Magritte; Delvaux.
La figura del manichino, simbolo dell’uomo-automa contemporaneo ben si associa alla definizione spesso usata per descrivere i giovani di oggi che tendono ad uniformarsi alle mode dei costumi e degli usi; spesso privi di personalità propria e alla ricerca spasmodica di modelli da imitare.
La forza che nasce dalla massificazione degl’interessi aiuta il giovane-automa a non sentirsi diverso o non accettato dai suoi coetanei.
L’enigma del mondo dechirichiano non può e non vuole ricevere soluzione, è la suggestione in sé del mistero, un mistero scontato che non può commuovere ,ma che non ha nulla da scoprire.
In foto: Le Muse iquietanti, 1917

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