L’ipotesi ideoplastica dell’evoluzione delle specie viventi.
IL PLASTICISMO EVOLUTIVO
Dal mimetismo dell’insetto-foglia a una nuova ipotesi sull’evoluzione delle specie viventi.
Di Enzo Pecorelli
Chissà, se Darwin fosse vissuto al giorno d’oggi, avrebbe elaborato esattamente la stessa teoria da lui pubblicata nel 1859?
Secondo
la mia flebile opinione, probabilmente no.
Darwin,
infatti, presentò la sua rivoluzionaria teoria quando nulla ancora si sapeva non
solo del DNA, ma anche della meccanica quantistica, del monoidesmo in ipnosi, dell’effetto
placebo e, soprattutto, della neurobiologia
vegetale, che indaga sulle presunte capacità mentali dei vegetali.
Per quanto concerne quest’ultimo punto, Pellegrino
De Rosa, autore dell’ipotesi evoluzionistica denominata “Plasticismo
evolutivo”, nel suo saggio “E se Darwin si fosse sbagliato?”,
ricorda che già Aristotele (280 a.C.) riteneva che le piante avessero capacità
mentali, e che lo stesso Darwin, in “The power of movement in plants”, ipotizzava
che gli apici radicali si comportassero come un cervello
esteso, del tutto simile a quello degli animali inferiori. Tuttavia, solo
di recente, grazie agli studi sulla cosiddetta “Neurobiologia vegetale” (interessante
e promettente campo d’indagine inaugurato dal prof. Stefano Mancuso,
dell’Università di Firenze) si stanno ottenendo le prime prove sperimentali che
parrebbero confermare la presunta intelligenza dei vegetali (esempio della Cuscuta, della Mimosa
pudica, degli apici radicali, ecc...) e che riesumano alcune conclusioni
sull’emotività dei vegetali già intuiti da Cleve Backster [De Rosa, 2011 e 2012].
De Rosa sottolinea che questo
della possibile intelligenza dei vegetali è uno dei punti cardine del Plasticismo
Evolutivo. Infatti, secondo l’autore, è probabile che sia stata proprio
l’errata convinzione che i vegetali (e i microbi) non avessero alcuna funzione
mentale ad aver spinto i sostenitori del darwinismo a ricercare la causa delle
mutazioni nel caso, i creazionisti in una volontà divina e i
lamarckisti nel principio dell’uso e disuso degli organi. Poiché è
chiaro che qualunque teoria evoluzionistica avrebbe dovuto essere in grado di
spiegare non solo l’evoluzione degli uomini e degli animali, ma anche quella
dei vegetali (e dei microbi).
Con l’ipotesi del plasticismo
evolutivo, dunque, vengono messi al centro del processo evolutivo le
facoltà mentali dell’individuo (sia esso uomo, animale, vegetale o microbo)
che, in particolari condizioni di necessità, o monoideistiche, potrebbero
essere in grado di indurre l’evoluzione grazie a una possibile funzione
ideoplastica della psiche sul corredo genetico.
Inoltre, l’autore, sposando
l’ipotesi olografica del fisico quantistico David Bohm [1980], ipotizza che ci
possa essere un collegamento “non locale” tra ciò che appare nell’ordine
esplicito (realtà fisica) e ciò che è registrato nell’ordine implicito (realtà
parafisica o metafisica). Tale impostazione, ritenuta da alcuni puristi
piuttosto fantasiosa, appare forse con maggiore chiarezza in uno scritto
letterario dell’autore [2011. Metamorfer. La gemma di Darwin].
Egli ha, cioè, elaborato
la sua ipotesi di studio partendo da alcune osservazioni sugli insetti criptomimetici
(fasmidi), sugli insetti sociali (termiti) e sugli animali
rapidomimetici (sepiidi), giungendo a spiegare la capacità degli animali
mimetici di adattarsi all’ambiente a una presunta forza ideoplastica della
psiche (e ciò per analogia con il fenomeno ipnotico noto come monoideismo e
con tutta una serie di effetti di somatizzazione, descritti nel suo
saggio introduttivo).
In sintesi, secondo
l’autore, se si accetta che la mente possa agire sulle cellule somatiche del
corpo (cosa che avviene sia alle seppie, che si adeguano istantaneamente al
colore del fondale, sia all’uomo, con le numerose manifestazioni di
somatizzazione accertate dalla medicina e dalla psichiatria, effetti placebo,
ecc…) non si vede perché essa non possa agire anche direttamente sulle cellule
germinali e determinare in esse le mutazioni ideoplastiche evolutive (come
nel caso dell’insetto-foglia).
In effetti, già numerosi studiosi sono concordi nel ritenere
che la psiche possa influenzare il DNA, in termini di geni attivati e
disattivati. Ma Pellegrino De Rosa, rispetto a costoro e in seguito alle
osservazioni da lui condotte, compie un ulteriore e importante passo: giunge,
cioè, a ipotizzare che la psiche possa anche agire direttamente sul materiale
genetico fino a creare nuovi geni e a fissare in esso le mutazioni desiderate e
acquisite (forse interagendo con l’ordine implicito di Bohm), proponendo
che l’evoluzione delle specie viventi possa essere dovuta a una volontà che
prende forma, che egli definisce: “plasticismo evolutivo”.
L’autore, quindi, pur
essendo partito da osservazioni oggettive e naturalistiche, cerca poi di suggerire
un possibile meccanismo d’interazione tra mente e corpo, facendo riferimento alle
scienze di frontiera: la fisica e la biologia quantistiche.
Infatti, egli fa notare
che, se si accettano le conclusioni della meccanica quantistica riferite alla
materia inanimata (entanglement, collasso della funzione d’onda, coerenza
e decoerenza quantistica, ecc…) non si vede perché gli stessi
principi non si possano applicare anche alla biochimica, alla genetica e alla
fisiologia degli esseri viventi. Perciò, riferendosi anche agli esperimenti di
Pribam sul cervello e alla sua teoria olografica, e considerando che anche il
corpo dei viventi pare possedere delle informazioni di possibile natura
olografica, dovuta a pattern interferenti (es. memoria degli organi dei
trapiantati), giunge a suggerire che l’interazione mente-cervello possa essere spiegata
con un meccanismo quantico e olografico.
Proseguendo ulteriormente
in tale direzione, l’autore si spinge, come prima accennato, fino ad accettare
il modello olografico di Bohm e il meccanismo dell’entanglement
(meccanismo che, secondo l’autore, potrebbe spiegare anche il modo di
funzionare della presunta mente collettiva degli insetti sociali). Le mutazioni
acquisite dalla specie mutata, che vive nella realtà fisica o “ordine
esplicito”di Bohm, verrebbero, quindi, registrate anche in una “matrice
olografica”, metafisica o parafisica, specifica della nuova specie e
residente in una dimensione olografica denominata “ordine implicito”, e,
grazie a un’interazione “non locale” (“bio-entanglement quantistico”)
prevista dalla fisica quantistica, eserciterebbe poi la sua influenza su tutti
gli altri individui della specie.
La teoria del plasticismo
evolutivo si differenzia, pertanto, sia dal lamarckismo (che
non è basato su un’azione esclusivamente mentale, bensì sul principio
dell’uso e del non uso degli organi, e che non riesce a spiegare né il
meccanismo di trasferimento delle variazioni fisiche, dalle cellule somatiche a
quelle germinali, né la comparsa di variazioni non condizionate dall’uso e dal
non uso: es. mantello mimetico della giraffa, appendici aeree del Draco
volans, la forma dell’insetto-foglia, ecc…), sia dal darwinismo (che
è basato, principalmente, sull’ipotesi di improbabili variazioni
casuali ma funzionali del DNA e sulla successiva selezione naturale).
Egli, nei suoi saggi introduttivi
[2011 e 2012], pur accennando rapidamente ai principali motivi che porterebbero
a confutare le altre ipotesi evoluzionistiche, non si sofferma a lungo su tale
aspetto, ma, in questa fase, si limita essenzialmente a descrivere la struttura
generale della sua ipotesi evoluzionistica, rimandando a una futura
pubblicazione l’approfondimento degli altri aspetti.
In effetti, è noto come la
teoria evoluzionistica darwiniana, pur essendo sicuramente quella più
accreditata, non sia accettata universalmente.
Alcune opinioni antidarwiniane di alcuni studiosi, illustri e autorevoli almeno
quanto i sostenitori del darwinismo, sono, per esempio raccolte nei libri “Voci
fuori dal coro. Intellettuali che considerano il darwinismo poco convincente”
(Dembski W. A., 2012. Caltanissetta. Alfa e Omega editore), “Gli errori di
Darwin” (Fodor Jerry A., Piattelli Palmarini Massimo, 2010, Feltrinelli), e
in numerosissimi altri testi.
Il lavoro introduttivo di Pellegrino De Rosa, invece, rispetto a costoro,
tenta di compiere un passo in più: quello di cercare una spiegazione, adottando
un criterio d’approccio multidisciplinare, a come si sia evoluto
l’insetto-foglia e, di conseguenza, a come si siano evoluti tutti gli altri esseri
viventi, e lo fa (come testimonia il punto interrogativo nel titolo “E se
Darwin si fosse sbagliato?”) presentando le sue osservazioni senza la
pretesa di una certezza acquisita, ma proponendole come una possibile - ma
interessantissima - ipotesi di studio e collegando strettamente il fenomeno del
mimetismo (rapidomimetismo e critomimetismo) con quello dell’evoluzione,
tramite un supposto meccanismo da lui definito “somatizzazione quantistica”.
In particolare, secondo l’autore, nessun’altra teoria evoluzionistica riuscirebbe
a spiegare in maniera convincente come il corpo dell’insetto-foglia (e di un
gran numero di altri organismi mimetici) si sia evoluto, assumendo l’aspetto
preciso di una foglia, comprese le nervature e alcune macchie di seccume.
Attribuire tale evoluzione al semplice caso sarebbe, secondo l’autore, una
non-spiegazione, che non avrebbe nulla di scientifico. Inoltre, essa sarebbe
statisticamente talmente improbabile da risultare quasi impossibile; eppure
l’insetto-foglia esiste e solo la teoria del “plasticismo evolutivo” sembra
essere in grado di fornire una possibile spiegazione della sua esistenza [De
Rosa, 2011 e 22].
L’autore, in definitiva, presenta una concezione olistica del sistema
mente-corpo degli esseri viventi (visione accettata - per esempio -
dall’ipnologia, settore di cui l’autore è appassionato studioso autodidatta) e
alcuni punti di contatto con il monismo panteistico del monaco eretico nolano
Giordano Bruno, e giunge a proporre la sua ipotesi evoluzionistica come una
possibile terza via tra l’evoluzionismo neodarwiniano e il creazionismo non
fissista.
Infine, è mia personale opinione - ma potrei sbagliarmi - che alcuni
aspetti della presunta evoluzione ideoplastica (o plasticismo evolutivo)
delle specie viventi siano stati espressi
dall’autore con maggiore libertà nel romanzo piuttosto che nel saggio introduttivo,
ma sono soprattutto curiosissimo di leggere il saggio approfondito, che
l’autore ha in preparazione, e di cui ho avuto modo di prendere visione solo di
alcuni affascinanti capitoli.
Nell’attesa,
il prof. Pellegrino De Rosa [2012] invita i ricercatori a
progettare esperimenti tendenti a verificare i possibili effetti mutageni della
volontà di soggetti umani, sottoposti a suggestioni prodotte da realtà virtuali
o da induzioni ipnotiche, sul materiale genetico dei gameti.
Riferimenti bibliografici:
Bohm D.,1980, Wholeness and the
Implicate Order, London, Routledge, 1980.
Dembski W. A.
(2012). Voci fuori dal coro. Intellettuali che considerano il darwinismo
poco convincente, Caltanissetta. Alfa e Omega editore, 2012.
De Rosa P.
(2011), Il plasticismo evolutivo - Una nuova ipotesi evoluzionistica basata
sulla biologia quantistica e sull’entanglement olografico, Macerata, Ed.
Simple, 2011.
De Rosa P. (2011), Metamorfer. La gemma di Darwin, Macerata, Ed. Simple, 2011.
De Rosa P. (2012), E se Darwin si fosse
sbagliato?, Tricase (Le), Ed. Youcanprint.it, 2012.
Fodor J. A.,
Piattelli Palmarini M. (2010), Gli errori di Darwin, Feltrinelli, 2010.
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